Notizie per April, 2011

Minoranze e Risorgimento

Su sollecitazione del buon J – reduce dalla lettura de “La Pasqua della Patria” – eccomi a scrivere ancora di Risorgimento e Liberazione.

J contesta la mia affermazione – o meglio chiede delucidazioni –  “una parte sempre maggiore della popolazione della penisola capì che non poteva esserci libertà senza unificazione, benché unificazione non significasse libertà”.

L’Europa ottocentesca restaurata dal Congresso di Vienna viene sconvolta da una serie di moti borghesi di ispirazione “nazionale”.  Allora il continente era diviso a metà:

  • da un lato stati nazionali unificati sotto una corona (Spagna, Portogallo, Francia, UK);

  • dall’altro stati multi-nazionali e piccoli principati (Impero Asburgico, Prussia, Russia, Stati italiani e tedeschi)

Negli stati multi-nazionali si acuivano le tensioni inter-etniche. Solo a Vienna facevano capo italiani, sloveni, croati, cechi, slovacchi, ungheresi, polacchi, ucraini e – secondo i censimenti asburgici che differenziavano le etnie in base alla lingua – anche gli ebrei che parlavano yiddish. Queste etnie non avevano scuole proprie. Si studiava prevalentemente in tedesco, con l’insegnamento di lingue e tradizioni popolari demandato agli istituti religiosi.

A fasi alterne ci furono aperture (e chiusure) verso organizzazioni culturali, teatri e circoli nazionali – periodicamente tacciate di “intelligenza col nemico”.

Le frequenti guerre causavano politiche di assimilazione operate dalle etnie dominanti: questo aumentava la voglia di autodeterminazione, del bisogno di riconoscersi nelle proprie tradizioni, riti, miti e lingue – e di poterli tramandare alle generazioni successive. Le élitè culturali di queste minoranze si adoperarono per promuovere la loro cultura tramite scritti e musica, dipinti e saggi. Pensiamo al Nabucco di Verdi o all’Epopea Slava di Mucha.

Perchè tutto ciò accade proprio l’800? La rivoluzione industriale, i primi quotidiani e la cultura sempre più diffusa aumentavano l’importanza della lingua. E col tempo italiani, polacchi e croati non volevano studiare solo in tedesco.

Inoltre il germe della Rivoluzione Francese s’era oramai diffuso grazie a Napoleone in tutto il continente, rendendo coscienti le masse della propria forza.

Riepilogando quindi: gli stati multinazionali scricchiolano sotto il peso delle varie etnie – di cui non riescono a farsi garanti. Iniziano quindi processi centrifughi che porteranno Austria, Russia e Impero Ottomano a sgretolarsi e lasciare spazio a nuovi stati nazionali (Italia, Serbia/Yugoslavia, Romania, Ungheria, Cecoslovacchia, ..) dove ogni etnia può liberamente riconoscere i suoi costumi e tradizioni in una forma statuale, promulgando delle proprie leggi.

Il movimento risorgimentale, che ha portato prima alla trasformazione dell’Impero Asburgico in Austria-Ungheria e poi al suo definitivo crollo dopo nel 1918, non è altro che la manifestazione del bisogno delle persone di riconoscersi nelle proprie tradizioni, riti, miti e lingue – e di poterli studiare e tramandare alle generazioni successive.

E questo accade anche in Italia. Da prima dell’unificazione iniziarono le prime società culturali e scientifiche nella Penisola. E iniziava la voglia della borghesia di governi più democratici degli stati fantoccio legati a “Franza o Spagna”. Qui entra in scena il Piemonte, nel 1848, quando Carlo Alberto promulga lo Statuto.

In quel momento Torino si candida alla leadership fornendo non – solo – un esercito all’unificazione, ma un motivo per unificarsi. I Savoia hanno colto la palla al balzo – sfruttando il movimento risorgimentale – per annettersi lo stivale: ma se guardiamo la Luna e non il dito, ci accorgiamo che le libertà dello Statuto erano proprio quelle per cui molti decisero che valeva la pena morire.

Da una parte lo Statuto e il Piemonte – che in prospettiva permettevano la libera espressione della propria cultura, la possibilità di emanare leggi proprie,  la fine delle discriminazioni e dello Spielberg – dall’altra il tedesco forzoso, il trattamento coloniale, la repressione.

Se dimentichiamo il contesto ed il percorso che ha portato all’unificazione, e guardiamo all’Europa di oggi, potremmo anche pensare di fare a meno del 150° e della spedizione dei mille.

Ma questa Europa è figlia di quei popoli che sono cresciuti e che oggi – con molta difficoltà e qualche regressione – devono continuare a farlo.

April 27 2011 | Idee and Politica | 10 Commenti »

Per Emilio per esempio

Il 15 e il 16 Maggio dovremo votare per i nostri rappresentanti in consiglio comunale.

La competizione sarà dura, e per essere eletti serviranno circa 650 voti – se non di più.

Discutendo di questo con compagni ed amici  abbiamo deciso di rinunciare a tante singole candidature – che avrebbero solo disperso l’elettorato – ed abbiamo deciso di lavorare insieme e sostenere uno di noi: Emilio Ciarlo.

A molti di noi, me compreso, avrebbe fatto piacere candidarsi, ma se vogliamo un rappresentante in consiglio dobbiamo essere uniti e disposti ad un passo indietro: io ho scelto di farlo.

Senza nulla togliere a candidature improvvisate e individuali, quella di Emilio è il frutto di un gruppo di persone che – nei partiti e nelle associazioni – cerca da anni di realizzare quel cambiamento che serve a Latina.

Persone che vengono da mondi diversi, partiti, associazionismo, volontariato, professioni e sindacati: insieme per costruire e realizzare una città nuova.

Ci sono consiglieri dei giovani come Alessandro Del Franco, compagni che vengono dall’esperienza delle circoscrizioni come Stefano Ficorella. Un amico di tante battaglie come Giuseppe Pannone – anche lui disposto a ritirare la candidatura per una unitaria.

Amici di vecchia data come Diego Piccoli ed Emilio Ranieri – già candidati alle scorse elezioni – che questa volta hanno fatto una coraggiosa scelta di sintesi; e Pietro Gava – studioso di modelli di welfare.

Nomi importanti dell’associazionismo laico e non, come Stefano Ingravalle – factotum di un importante festival cinematografico locale – e Gianmarco Proietti impegnato da oltre 10 anni in tante battaglie in favore degli ultimi.

Sul nostro sito www.primaveralatina.it si sono aggregati molti altri nomi noti e meno noti della cultura, della società civile, del lavoro. Tutti con un progetto: cambiare questa città.

Per una Prima Vera Latina. Insieme per Emilio Ciarlo in Consiglio Comunale.

April 18 2011 | Circoscrizione and Politica | Commenta per primo! »

Sulla rappresentanza degli interessi particolari

Da tempo si discute nel PD sulla rappresentanza degli interessi particolari. Cacciari come Tramonti paventano e auspicano l ipotesi di un partito appenninico, e da fronti differenti accreditano questo alla incapacità di rappresentare interessi locali e particolari.

Vero è che in queste particolarità troviamo interessi spesso contrastanti: agricoltori alle prese con le quote latte, imprenditori del manifatturiero e del tessile, scuole parificate, tassisti, ordini professionali, partite iva.

A torto o a ragione, la sinistra per queste categorie ha sempre rappresentato uno spauracchio o – nella migliore delle ipotesi – una sciagura naturale come un alluvione o un temporale.

Le cause sono molteplici, ma credo che semplificando basti analizzarne due.

  1. L’eredità storica della lotta operaia: che vede nella borghesia ieri e nel lavoro autonomo oggi un nemico di classe sin dalla rivoluzione francese; questa analisi è legata quindi al plus valore, alla proprietà dei mezzi di produzione e della gestione del capitale.
  2. La composizione del tessuto sociale del secondo millennio dopo la globalizzazione.

La prima causa, ossia l’equazione imprenditore uguale sfruttatore, dovrebbe trovare soluzione nella legislazione fiscale. La progressivita’ delle aliquote e il diritto del lavoro dovrebbero estinguere quest “debito” originario.

Una politica di spesa sprecona e i disservizi delle istituzioni invece fanno si che gli imprenditori si sentano vessati mentre spesso i dipendenti non percepiscono un salario necessario a una vita dignitosa. In Italia – con un’economia prettamente statale e parastatale – si aggiungono i ritardi dei pagamenti delle amministrazioni verso le aziende fornitricipercepiti a torto dagli imprenditori come un esproprio proletario operato dalla sinistra anziché come una negligenza di uno stato inefficiente.

A fronte di questa vessazione fattuale, la politica ha però tollerato l’evasione fiscale come anestetico : il risultato è una diffusa illegalità e una sostanziale diseguaglianza negli attori del mercato. Lavoratori e imprese di Serie A e di Serie B. Tutelati tout-court e schiavi del nuovo millennio.

Affrontare seriamente questo tema vuol dire creare uno stato giusto. Verso i tutti i lavoratori e tutte le imprese, alle quali si richiede il rispetto delle norme e che una volta estinto il “debito sociale” – quale che sia l’entità decisa dallo stato – non devono essere vessate ulteriormente.

La seconda causa è quella più interessante, perché legata alla lacerazione della societa’ e del sistema produttivo che dobbiamo ricomporre. Lo sviluppo che ha migliorato la qualità della vita e limato le differenze sociali fino agli anni ’90 – anni d’oro per il  Socialismo Europeo –  si è allargato al resto del globo, lasciando lentamente la Vecchia Europa.  Da lì sono partiti gli scricchioli che hanno portato con le delocalizzazioni e la crescita delle importazioni low-cost dall’oriente i primi conflitti locali. Da lì si sono riaccesi i conflitti tra gli interessi particolari. Interessi particolari in conflitto significa che piccoli pezzi di paese remano in direzioni diverse. E in questo caso serve capire perché.

La ricomposizione passa per un’ idea di crescita e di sviluppo sostenibile e competitivo nel mercato globale:  il paese deve trovare il modo di agire insieme – come una nuova tribù durante una battuta di caccia. Tocca studiare dove quindi nascono e quali sono le ragioni degli interessi particolari e dei loro conflitti, capire quali sono legittime e quali invece mera ricerca di privilegi.

Sugli ordini professionali il partito ha da tempo preso posizione guardando al mondo anglo sassone e decidendo di chiudere col corporativismo. Sulle quote latte il discorso più complesso e parte dall’ evasione delle quote e dal rapporto costo benefici, passando dal la competizione tra allevatori che hanno rispettato le quote è quelli che invece non lo hanno fatto. Ma ben poco è stato fatto per governare o spiegare il meccanismo delle quote in un sistema agricolo che probabilmente non era pronto a competere in un sistema europeo ieri e globale oggi.

Sul manifatturiero c’e’ da capire le effettive necessità del settore e delle imprese, e cosa può essere fatto di utile nell’ottica di uno sviluppo sostenibile e che incentivi l’export e l’ innovazione.

Anche qui chi ha corteggiato queste categorie con soluzioni illusorie o temporanei sollievi dalla competizione globale è stato un po’ come un pusher che da’ al malato dosi sempre più forti di morfina senza pensare al momento del risveglio.

Compito di un partito non è di essere il citofono delle categorie, ma di aiutarle ad elaborare soluzioni efficienti che funzionino nel sistema globale. Dialogare e spiegare , accogliendo critiche e suggerimenti, ed emendando anche le proprie posizioni.

Le quali però non possono che rientrare in un quadro organico, che è la strada da  percorrere per uscire dalla crisi e dare ai nostri figli un paese migliore.

April 12 2011 | Eventi and Idee and Sviluppo | Commenta per primo! »