Minoranze e Risorgimento

Su sollecitazione del buon J – reduce dalla lettura de “La Pasqua della Patria” – eccomi a scrivere ancora di Risorgimento e Liberazione.

J contesta la mia affermazione – o meglio chiede delucidazioni –  “una parte sempre maggiore della popolazione della penisola capì che non poteva esserci libertà senza unificazione, benché unificazione non significasse libertà”.

L’Europa ottocentesca restaurata dal Congresso di Vienna viene sconvolta da una serie di moti borghesi di ispirazione “nazionale”.  Allora il continente era diviso a metà:

  • da un lato stati nazionali unificati sotto una corona (Spagna, Portogallo, Francia, UK);

  • dall’altro stati multi-nazionali e piccoli principati (Impero Asburgico, Prussia, Russia, Stati italiani e tedeschi)

Negli stati multi-nazionali si acuivano le tensioni inter-etniche. Solo a Vienna facevano capo italiani, sloveni, croati, cechi, slovacchi, ungheresi, polacchi, ucraini e – secondo i censimenti asburgici che differenziavano le etnie in base alla lingua – anche gli ebrei che parlavano yiddish. Queste etnie non avevano scuole proprie. Si studiava prevalentemente in tedesco, con l’insegnamento di lingue e tradizioni popolari demandato agli istituti religiosi.

A fasi alterne ci furono aperture (e chiusure) verso organizzazioni culturali, teatri e circoli nazionali – periodicamente tacciate di “intelligenza col nemico”.

Le frequenti guerre causavano politiche di assimilazione operate dalle etnie dominanti: questo aumentava la voglia di autodeterminazione, del bisogno di riconoscersi nelle proprie tradizioni, riti, miti e lingue – e di poterli tramandare alle generazioni successive. Le élitè culturali di queste minoranze si adoperarono per promuovere la loro cultura tramite scritti e musica, dipinti e saggi. Pensiamo al Nabucco di Verdi o all’Epopea Slava di Mucha.

Perchè tutto ciò accade proprio l’800? La rivoluzione industriale, i primi quotidiani e la cultura sempre più diffusa aumentavano l’importanza della lingua. E col tempo italiani, polacchi e croati non volevano studiare solo in tedesco.

Inoltre il germe della Rivoluzione Francese s’era oramai diffuso grazie a Napoleone in tutto il continente, rendendo coscienti le masse della propria forza.

Riepilogando quindi: gli stati multinazionali scricchiolano sotto il peso delle varie etnie – di cui non riescono a farsi garanti. Iniziano quindi processi centrifughi che porteranno Austria, Russia e Impero Ottomano a sgretolarsi e lasciare spazio a nuovi stati nazionali (Italia, Serbia/Yugoslavia, Romania, Ungheria, Cecoslovacchia, ..) dove ogni etnia può liberamente riconoscere i suoi costumi e tradizioni in una forma statuale, promulgando delle proprie leggi.

Il movimento risorgimentale, che ha portato prima alla trasformazione dell’Impero Asburgico in Austria-Ungheria e poi al suo definitivo crollo dopo nel 1918, non è altro che la manifestazione del bisogno delle persone di riconoscersi nelle proprie tradizioni, riti, miti e lingue – e di poterli studiare e tramandare alle generazioni successive.

E questo accade anche in Italia. Da prima dell’unificazione iniziarono le prime società culturali e scientifiche nella Penisola. E iniziava la voglia della borghesia di governi più democratici degli stati fantoccio legati a “Franza o Spagna”. Qui entra in scena il Piemonte, nel 1848, quando Carlo Alberto promulga lo Statuto.

In quel momento Torino si candida alla leadership fornendo non – solo – un esercito all’unificazione, ma un motivo per unificarsi. I Savoia hanno colto la palla al balzo – sfruttando il movimento risorgimentale – per annettersi lo stivale: ma se guardiamo la Luna e non il dito, ci accorgiamo che le libertà dello Statuto erano proprio quelle per cui molti decisero che valeva la pena morire.

Da una parte lo Statuto e il Piemonte – che in prospettiva permettevano la libera espressione della propria cultura, la possibilità di emanare leggi proprie,  la fine delle discriminazioni e dello Spielberg – dall’altra il tedesco forzoso, il trattamento coloniale, la repressione.

Se dimentichiamo il contesto ed il percorso che ha portato all’unificazione, e guardiamo all’Europa di oggi, potremmo anche pensare di fare a meno del 150° e della spedizione dei mille.

Ma questa Europa è figlia di quei popoli che sono cresciuti e che oggi – con molta difficoltà e qualche regressione – devono continuare a farlo.

April 27 2011 12:40 am | Idee and Politica| 3,233 views

10 Responses to “Minoranze e Risorgimento”

  1. J on 27 Apr 2011 at 4:50 pm #

    Ciao Roberto,

    innanzi tutto grazie per questo post e per il tempo che vi hai dedicato. La tua dedizione alla storia e alla politica è tale che, a priori, sei degno della mia più grande stima.
    Un commento lo devo, se non altro per gratitudine.

    A mio parere introduci i temi in modo un po’ malizioso:
    – il fatto che esistano “stati multi-nazionali” (non esiste una definizione di stato multi-nazionale; uno stato che contiene cittadini di diversi paesi si chiama plurinazionale, ma è uno stato unico) L’Italia non era uno stato prima dell’Unità d’Italia, men che meno pluri-nazionale. La penisola era caratterizzata da stati di lingua e cultura diversa (che è il concetto che cerca di esprimere sempre la Lega in modo volgare, goffo e a volte sin troppo oltranzista), con organizzazioni politiche indipendenti, monarchie etc)
    – il fatto che si parli di “italiani” prima che ci fosse l’Italia (“Solo a Vienna facevano capo italiani, sloveni”..) è blooper (vedi “bug” per i film)
    – la lingua italiana non è stata mai definita come tale fino al 1972 (se non ho sbagliato la fonte), pertanto fare una cernita sulle persone in base alla lingua non era possibile perchè gli attuali piemontesi sarebbero stati annoverati tra i francesi poichè francofoni.

    L’idea di portare quale esempio simile all’Italia quello di un altro paese è realistico fino ad un certo punto; noi non avevamo uno stato centrale con problematiche di gestione della multietnicità interna.

    Le esigenze di indipendenza dall’Austria invece erano decisamente sentite (vedi 5 giornate di Milano). Sarebbe interessante capire quali fossero i veri interessi (economici ?) per i quali qualcuno è disposto a morire (la domanda poi su chi sia morto oltre ai milanesi permane che non stesse combattendo contro l’invasione di Garibaldi e dei suoi mille). Non credo infatti che la spinta dell’illuminismo, della cultura (poesia, arte, etc) sia esattamente il tipo di carburante per le rivoluzioni di questa entità.C’erano invece volontà espansionistiche dei paesi più forti (ricordiamo che Camillo Benso parlava francese ?).E non credo che il regno delle due sicilie avesse problemi con gli austriaci… Anzi, neppure voleva essere conquistato dagli stati del nord ed annesso, ma i fatti e le guerre le conosciamo: ancora oggi stiamo difendendo i conquistatori. Se io fossi calabrese, potrei osare dire che sono stato conquistato ed annesso ad uno stato senza che mi sia stato chiesto il permesso. Potrei anche dire che ho combattuto per difendere il mio stato, che sono morto ed ho perso quella guerra e che mi fa ridere pensare che io debba festeggiare la morte “dei nostri antenati per l’unità d’Italia” e non quella dei mia e dei miei compagni per difenderla dall’invasore del nord. Ma il vincitore di una guerra, si sà, detta le nuove regole: d’ora in poi festeggeremo la vittoria di questa guerra ed andremo in giro a dire che lo abbiamo fatto per il bene di tutti (e sempre da calabrese mi viene da guardare il mio paese oggi e piango i tempi in cui il lavoro era una cosa per tutti in Calabria).
    Ora, io non sono calabrese e quindi sei salvo 🙂 lascio però ai calabresi maggior spazio per dire la loro poichè quello che ho riportato io sono solo pensieri espressi da amici calabresi.

    La chiosa del post è un altro tocco di malizia: lascia infatti trasparire che la crescita dei popoli è un moto su una linea retta direzionata nella quale per dover evolvere dobbiamo perforza andare avanti.
    Se ciò è vero in relazione al moto del tempo (che non torna mai indietro), questo non implica che visto che si sono fatti degli errori, non si debba – per evolvere – magari fare un passo indietro.

    Insomma, se continuiamo a guardare sempre avanti, se non abbiamo il coraggio di osservare gli errori del passato e magari di ritornare sui nostri passi per intraprendere poi strade differenti, non potremo che finire male.

    Ovviamente tutto ciò vale solo se scattando una fotografia al nostro paese abbiamo l’impressione che qualcosa sta andando per il verso sbagliato ovvero se pensiamo che la politica non sta facendo l’interesse dei cittadini, che i cittadini stanno facendo l’interesse della propria comunità, se i padri/madri di famiglia non fanno l’interesse del proprio nucleo famigliare etc

    Se invece pensiamo il paese sia perfetto così, allora possiamo sentirci fieri di come la politica di questi ultimi 150 ha lavorato, della storia, dei motivi.

    Ricordiamoci però di una cosa che non possiamo ignorare: abbiamo un partito in Italia, con ahimè tanti voti, che esprime una cultura non propriamente nazionale: si chiama Lega Lombarda ed ignorarla e denigrarla significa non voler guardare.

    Abbiamo anche una comunità in Italia che rivendica spazio, diritti (vedi pubblicità di Ikea) e anch’essa è una minoranza che non possiamo far finta di ignorare.

    Io, te e tutti gli altri cittadini che riflettono sulla politica – magari anche di schieramenti diversi – abbiamo a mio parere l’obbligo di guardare il nostro paese in modo distaccato cercando di prendere il buono e il cattivo, di separare ciò che non ci piace e di prendere spunto dagli altri paesi solo per le cose positive e che portano valore, dimenticando per un attimo quello che il nostro partito di riferimento ci impone.

    A te che sei solito salutare tutti gli amici con “Pace”, in occasione della appena passata Pasqua, ti riporto un pensiero che un caro amico prete qualche giorno fa mi ha esposto: “Non capisco perchè la risurrezione di Cristo sia così snobbata rispetto al Natale.Tutti siamo nati,ma cavolo Cristo è risorto!”.

    Dobbiamo lavorare, credere e sforzarci per portare a termine quel progetto chiamato Risorgimento che è stato iniziato ma mai concluso. Non siamo un paese solo perchè ci va di festeggiarlo, e a mio parere ancora non siamo un paese. Possiamo farcela però.

  2. Roberto Polli on 27 Apr 2011 at 5:35 pm #

    Caro J, la tua risposta contiene a mio avviso varie inesattezze.

    1. la definizione di stato multinazionale devi cercarla sui libri di storia oppure nella sezione eng di wikipedia http://en.wikipedia.org/wiki/Multinational_state

    2. riguardo il “blooper” gli italiani, esistevano ben prima del Regno d’Italia, visto che è almeno dal 1500 che se ne parla (vedi Guicciardini e Machiavelli).

    3. l’Italia non era uno stato multinazionale, e neanche uno stato – ma ho introdotto l’argomento perchè cittadini di lingua e cultura italiana vivevano sotto stati multinazionali, e non ci si trovavano bene.

    4. tra gli interessi “economici” devi annoverare le libertà individuali e partecipazione al governo – il passaggio del potere da una nobiltà alla borghesia sono tutti fattori che considererei quindi “economici”.

    5. il Risorgimento non è un bene di per se, o per un orgoglio sciovinista, ma perchè ha dato la possibilità alla nostra cultura di non essere assimilata forzosamente e di arricchire il mondo. Comunque ognuno la veda, quest’ultima affermazione è un dato di fatto. D’altronde se nel 1800 ci fosse stata la tutela delle minoranze, il problema dell’unificazione non si sarebbe posto perchè tutti sarebbero stati bene dove stavano.

    4. sulla questione delle due sicilie apriamo un capitolo a parte: se è vero che i Piemontesi hanno fatto carne di porco, quei (pochi) meridionali che oggi si rifugiano nell’arcadia borbonica fanno abbastanza ridere.

    5. io esprimo un parere favorevole sul risorgimento quindi, semplicemente perchè fino al 1918 avere uno stato nazionale era l’unico modo per poter esprimere una propria cultura.

    6. oggi abbiamo un’altra sfida: quella dell’integrazione europea e sono d’accordo con te: possiamo farcela. Ma la strada non è disimparare la storia per affidarci a fantasiose ricostruzioni di chi si veste da Asterix.

  3. J on 27 Apr 2011 at 9:44 pm #

    Ciao Roberto,

    sono oramai alla terza birra virtuale, quindi scuserai un po’ di ubriachezza intellettuale 🙂

    1. Anche adottando la versione inglese di “multinational state”, non mi sembra che siamo mai stati quella cosa lì. UK, USA, URSS, e altri magari, ma noi… Mi sembra che appunto questo sia una valutazione soggettiva e maliziosa che permette divagazioni che secondo me non sussistono.

    2. Il fatto che si parlasse di italiani come di abitanti della penisola italica o in modo del tutto astratto come nel caso di M e G, non rende gli italiani riconoscibili in quanto cittadini di uno stato.Guicciardini poi esprime proprio la paura che uno stato unitario avrebbe potuto portare una città di prevalere su altre schiacciando quelle ricchezze che i diversi centri d’arte apportavano. Secondo me poi è quello che è successo. I due parlano in linea teorica e, da ottimi politici, fanno delle ipotesi.Ciò dimostra la lungimiranza di strateghi, ma non dell’esistenza degli italiani.

    3. Questo punto lo considero un parere personle che accetto in quanto tale.

    4. Per interessi economici, intendo quelli espansionistici. Gli stessi che hanno portato l’Italia in nord Africa anni dopo, per capirci. Se poi vogliamo metterla sulla libertà individuale, bisogna capire della libertà di chi stiamo parlando. La libertà di chi voleva occupare/conquistare/inglobare/unificare o libertà di chi è stato occupato/conquistato/inglobato/unificato ? Sai se tutti avessero voluto, spedizioni non ne servivano eh 😀

    5. Il Risorgimento così come è stato fatto ha esattamente permesso alla nostra cultura del passato (quella che ora verrebbe chiamata in senso diminutivo e volgarmente “regionale” o “dialettale”) di essere neutralizzata e assimilata, e soprattutto ancora mi chiedo di quale cultura stiamo parlando. Quello che per te è ovvio, qui al nord non lo è per nulla. A pochi chilometri da me, in Svizzera, cantano canzoni in milanese. Il Milanese che è una lingua (checchè tu voglia chiamarlo dialetto per i tuoi comodi) di origine francese, con poesie, letterature (non so se a Roma si studia Carlo Porta) e testi, trattati,… Si può studiare andando a scuola.. E la cultura dei miei luoghi è stata proprio cancellata e assimilata per creare una meta-cultura mediocre che, in poche centinaia di anni, ci ha ridotto alla pochezza che vedi in tv.Che non è la pochezza di Roma, non fraintendermi, io non sono leghista. Il processo che credi di aver scampato come Italia, l’abbiamo già subito come stati.
    E lo subiremo come Europa perchè non abbiamo un’identità forte, ovviamente solo se questa EU vorrà trasformarsi in qualcosa di più del mero strumento di dialogo che è ora (se lo è). Detto questo, non sono sfavorevole all’Europa in quanto strumento di cooperazione tra stati; sono contrario all’Europa nell’ottica di una “country” VS “state” (vedi USA) all’americana, cioè di uno stato multinazionale.

    4b. Sulla questione delle due sicilie, puoi ridere quanto vuoi. Se però vuoi ascoltare il territorio e la gente, devi mettere da parte i tuoi pregiudizi e dare la giusta considerazione a quelle civiltà che hanno dato ricchezza culturale ed economica che ha resa famosa l’Italia. Non mi pare infatti che l’Italia abbia fatto grandi cose negli ultimi anni e mi pare che quanto di geniale sia stato fatto di tutte le solite manfrine che i turisti vengono a vedere in Italia, siano tutte cose create da quegli stati che erano la nostra ricchezza. (apro una parentesi: una delle critiche che il PD ha fatto di se stesso è stata quella di aver teorizzato troppo la sua idea di paese senza averne poi verificato le teorie sul territorio; la Lega in questo è stata purtroppo molto brava ed ha interpretato il 10% della popolazione nazionale).

    5b. Uhm che fino al 1918 fosse difficile esprimere cultura, non saprei, come mai proprio il ’18?. Mi pare che anche dal ’18 al ’45 ci fossero in Italia problemi di espressione. Problemi che però non ho visto tanto nel secolo precedente. Da quale anno a tuo parere esiste questa difficoltà?

    6b. Che intendi per “sfida dell’integrazione europea” ? Non so se è chiaro il mio pensiero, ma qui non si tratta di disimparare la storia, ma smettere di ripetere la lezione imparata a scuola. Nessuno si veste da Asterix, ma neppure dobbiamo vestirci da centurione romano che a testuggine procede senza guardare. La mia opinione è che tanti “bravi” (in senso Manzoniano) intellettuali, abbiano messo un bel filo elettrificato intorno a noi vacche. Quel filo si chiama Italia e l’hanno costruito bensissimo (attento ancora a non fraintendermi: ho detto Italia, non Roma). Guai a chi la tocca infatti (se tocchi l’unità sei fascista), fatti succhiare il latte (tasse), vota quando voglio io (referndum e elezioni sindaco), vota come voglio io (legge elettorale), io mi faccio giudicare come voglio io (leggi ad personam), faccio cooperative di succhio-latte come voglio io (coop rosse, intrallazzi bancari) e faccio manifestare le mucche quando fa comodo a me (sindacati) e ancora non abbiamo parlato dell’uso della mafia che le politiche stanno mettendo in opera. Appena ho un soggetto giusto per la mafia da inserire nella metafora delle mucche, te lo dico 🙂 Si lo so, sono andato fuori tema!

    Tornando alla visione del territorio, la situazione è tale che più di un cittadino su 10 (nota bene, non stiamo parlando di un cittadino su un milione,ma di uno su dieci), vota un partito che è di fatto separatista. Aspetta che lo ripeto eh perchè mi sa che questo numero non fa ridere come per i calabresi: più di un italiano su 10 vota quella gente lì. Non è poco eh!

    Capisco che il polso sentito dal centro Italia e dalla capitale sia diverso, ti invito però ad accettare l’esistenza di gente che non è per forza ignorante e che la pensa in modo diverso, che ha vissuto una storia diversa e che ha una cultura diversa, che a pranzo si fa la “wiener schnitzel” e col the della domenica si mangia la “sachertorte”.

  4. Roberto Polli on 28 Apr 2011 at 12:23 am #

    0. nota di stile: conviene leggere tutte le risposte prima di fare reply, altrimenti ci ripetiamo 😉

    1. sul multinazionalismo ho già risposto al punto 3 della reply precedente, e non mi ripeto

    2. gli italiani di M e G sono un popolo, non uno stato. Gli Stati Nazionali, come li intendiamo noi, nascono nel 1800 con l’alfabetizzazione e il sistema industriale. Durante il Risorgimento gli italiani hanno deciso di voler avere un loro Stato Nazionale. Oggi possiamo contestare questa scelta, ma tant’è l’han fatta loro. A noi sta studiarne il perchè esaminando documenti e scritti dell’epoca e valutare in base ad essi la bontà di quelle scelte.

    2bis. Sulla tesi di Guicciardini: nel 1800 o eri uno stato nazionale o eri una loro colonia. Noi eravamo la seconda e siamo diventati la prima. Meglio sotto i piemontesi che sotto gli asburgo.

    3. vedi scritti e produzione letteraria ed epistolare dell’epoca: io non c’ero 😉

    4. se fosse solo quello non si spiegherebbero le dimensioni del movimento Risorgimentale. Anche qui un po’ di testi dell’epoca aiutano.

    5. credo tu stia scordando il fascismo (che cancellò i dialetti), i fenomeni migratori e gli sviluppi avvenuti dopo il ’45. L’unificazione ci ha reso padroni del nostro destino: di quello che ne è stato fatto siamo noi i responsabili. Ma dire con 150 anni di ritardo “se restavamo sotto gli austriaci magari mantenevamo le nostre tradizioni” mi sembra avventato (avremmo partecipato alla Seconda Guerra Mondiale sin dall’inizio…). Se poi a Milano la cultura popolare è stata massacrata (ma il primo è stato Manzoni a sciacquare i panni in Arno) mentre a Venezia, Napoli e Roma no, fossi milanese mi porrei qualche domanda.

    5′. lasciamo la discussione sull’UE ad un altro post. Ad ogni modo io vorrei un’UE unita e federale, con leggi uniche e armonizzate.

    4b. sulle due sicilie e la lega: la mia opinione è netta e puoi leggerla nel post su “PD e Interessi Particolari” di un paio di giorni fa. Ad ogni modo ha fatto di più Bersani ministro in 8 mesi che tutto quel partito negli ultimi 15anni: il nulla con il figlio di Bossi consigliere regionale.

    5b. il fascismo faceva alle minoranze linguistiche esattamente quello che facevano gli asburgo con gli italiani settant’anni prima. Negli stati nazionali è normale che ci si basi sulle tradizioni della nazione di riferimento. La tua domanda è Clack-able 😉

    6b. i fascisti sono sostenitori dell’unità italiana, mentre storicamente la sinistra è federalista (pure qui storia lunga, cmq basta vedere l’organizzazione dei DS e del PD per rendersene conto). La Lega invece non è federalista ma secessionista, e usa il federalismo come paravento per ottenere piccoli vantaggi economici.

    6b’. concordo con te che bisogna andare oltre la lezioncina imparata a scuola, ma forse stai facendo un po’ confusione: mischiare l’unità con la mafia, le tasse con la coop, i sindacati e le leggi ad personam. Come se questo non fosse il frutto delle scelte dei cittadini italiani. Il passato va’ studiato e le sue dinamiche comprese, ma revisionarlo in funzione del presente è fuorviante. Se c’è qualcosa di sbagliato oggi, va’ cambiata nel tempo presente.

    Sulla sacher, la mangio pure io! Ma ripeto che allora il punto non era la cucina: era la possibilità di parlare e scrivere italiano nella vita quotidiana e nei rapporti con lo stato.

    Ritornando a noi: io accetto tutto, ma vorrei vedere un’analisi più profonda. Vorrei parlare dei problemi post-unitari, delle migrazioni interne, del fascismo e del corporativismo, delle conseguenze della seconda guerra mondiale: perchè tutti i problemi che poni partono diversi anni DOPO l’unificazione, e alcuni partono VERAMENTE MOLTO dopo (la cultura di massa è degli anni ’50 ed è un fenomeno mondiale).

    Oggi si mette in discussione l’Unità perchè c’è la Lega che deve specularci sopra. Come ieri si metteva in discussione la Liberazione perchè con la creazione di AN si doveva legittimare una nuova forza politica.

    Spesso queste operazioni sono fuddate con minestroni pieni di mafia, pizza mandolino e del rimpianto dei bei tempi andati (nello specifico da 60 o 150 anni, quando i testimoni oculari sono tutti morti). Caro J, è un deja-vu: a me queste operazioni non convincono.

  5. J on 28 Apr 2011 at 5:08 pm #

    0. Affermi che io risponda senza leggere ? se devi ripeterti è perchè il concetto che esprimi non è chiaro o fa riferimento a collegamenti esterni non noti o di vaga definizione (vedi “multinazionale” in italiano che è poi diventato inglese). Un dialogo, per essere tale, deve prevedere una convenzione che è la lingua nel quale le parole utilizzate abbiano il medesimo significato per entrambi.

    1. Facendo riferimento al punto 0., mi sembra che interpretiamo in modo assai diverso il significato della parola “multinazionalismo”.Io ho letto il link nel quale immagino che tu abbia voluto comunicarmi cosa per te multinazionalismo significa, ma tale link definisce qualcosa di diverso da quello che poi esprimi qui, quindi non ci capiamo. E’ però necessario spiegarsi bene perchè per te il “multinazionalismo” è un argomento che giustifica l’unione.

    2. Suggerirei di non considerare come realtà le tesi di due filosofi della politica. Il fatto che due filosofi parlino di extraterrestri,non vuol dire che esistano. Certo non si può dire che esistessero gli italiani prima dell’unione d’Italia, se D’Azeglio stesso diceva: “Fatta l’Italia, bisogna fare gli Italiani” intendendo proprio che dall’unione degli stati non ne deriva automaticamente la nascita fi un popolo.

    3. Che è come dirmi “trovi il mio pensiero esposto nel dizionario garzanti, ti lascio ricostruire l’ordine delle parole da solo” 😀

    4. Non vorrei sembrare volgare, ma che io sappia c’è solo una cosa che tira più di un carro di buoi 🙂 E subito dopo quella, ci sono i soldi e il potere, non certo il desiderio di cultura…

    5. Sull’UE attendo il tuo post, non ho ancora finito di sistemare il mio orticello, figurati se mi metto a studiare il campo di calcio 🙂

    4b. Puoi giudicare l’operato come preferisci, non ho dubbi.Io non ti chiedo di confrontare Bersani con il figlio di Bossi. Ti chiedo di considerare il fatto che esistono delle grosse minoranze (intorno al 10%) che non devono essere snobbate e dicevo solo che mi pareva di aver letto un’autocritica del PD in merito proprio all’aver preso sottogamba il fenomeno. Snobbarle significa non considerare le possibili sgroppate che quel 10% può dare. E’ come un piccolo nodulo al seno snobbato. Magari non è nulla, magari può trasformarsi in qualcosa di più grave, ma è meglio esaminare a fondo il fenomeno e non far finta che non esista solo perchè non ci piace.

    5b. Figurati se non sono daccordo con te, io considero il fascismo e la guerra mondiale come uno di quei bei regali che l’Unità d’Italia ha dato a tutti noi abitanti della penisola! figurati poi se mi diverte difendere un fenomeno che in ultima istanza ha causato la morte di un sacco di miei parenti (da entrambi gli schieramenti: ricorda infatti che io avevo un nonno italiano e uno francese).

    6b. Condivido la seconda parte della tua valutazione della Lega secessionista e federalista “di comodo”. Per la prima parte, non saprei, in questo periodo sono confuso. Mio padre quand’ero piccolo mi diceva sempre di non sventolare la bandiera italiana che sennò mi prendevano per fascista e ora invece la sventolano a sinistra e se non la sventoli non sei italiano ma “Berlusconiano”. Per ora il tricolore del Comitato di Liberazione Nazionale non lo sventolo in attesa di maggiore chiarezza 😀

    6.b’: Condivido con te l’idea che le cose debbano essere cambiate nel presente, ma gli errori del passato devono essere corretti perchè sennò ci troviamo sempre con le falle. Nel nostro settore, si chiama “code review”. Per quanto riguarda la tua visione delle cose brutte che siano il frutto delle scelte degli italiani, non sono per nulla daccordo. La nostra forma di democrazia rappresentativa fa sì che chi è al governo faccia quello che vuole e non per forza quello che ha promesso agli elettori, e ne abbiamo penso una riprova abbastanza recente.Da quanto la politica esiste in Italia, i partiti hanno sempre promesso e comprato i voti per poter poi fare quello che a pochi faceva comodo. Non sto ad elencarti io i provvedimenti “di comodo” che i governi di questi ultimi 50 anni hanno fatto congiuntamente.

    Sacher. Lo stato non esisteva 🙂 A Milano le 5 giornate significavano mandare “feur de’ i ball” gli Austriaci, non tanto di più imho. Che poi la cosa facesse comodo inglobarla in un movimento più esteso, vabbè. Per quanto la vivo io, qui c’era solo gente che parlava dialetto milanese (franco-originario) che non voleva parlare tedesco.

    Sarebbe in effetti necessaria un’analisi approfondita come anche tu dici; io non credo che i problemi partano molto dopo, credo che i problemi si siano visti solo molto dopo. Questo è il motivo per cui è necessaria una rivisitazione del passato e una correzione delle falle, perchè altrimenti avremo altri problemi tra 10 anni creati dai governi di 50 anni fa.
    Poichè credo che sia molto difficile fare questo percorso, mi sto chiedendo se non valga la pena dare un bel colpo di spugna a questi 150 anni di Unità per dare vita ad un nuovo risorgimento.
    Certo è che prima di buttare tutto via, uno deve mettere sul piatto della bilancia il “costo” che abbiamo sostenuto per unire l’Italia.
    – Ecco allora che dell’esperienza non si butta nulla, quella rimane, anzi forti dell’esperienza si può fare meglio
    – Dei “nostri padri morti per l’unità d’italia” mi sembra che parliamo di meno vittime di quante non faccia l’autostrada in una stagione estiva italiana e comunque tutti già sepolti pur i figli
    – i partigiani e gli antifascisti non se ne risentirebbero perchè nessuno qui vuol tornare al fascismo

    Forse quei mille e passa tra parlamentari/senatori/etc + quelli nei comuni/regioni/province loro sì che hanno interesse a tener tutto così com’è e tutti quelli che da loro prendono lavoro, contratti, appalti… Vabbè questa è demagogia.

  6. Roberto Polli on 29 Apr 2011 at 12:36 am #

    0. non dicevo che hai risposto senza leggere, ma che tu abbia risposto “punto su punto”, ossia senza leggere *prima* *tutto* il commento precedente. Dicevo semplicemente che hai risposto al punto 1 dopo aver letto il punto 1, ma senza aver letto il punto 3 😉 Spero che adesso sia tutto più chiaro. Poi io userei il solo italiano, ma la wikipedia è incompleta e in attesa di passarti il libro dovevo mandarti un link che tu potessi leggere 😛

    2. gli italiani come gli extraterrestri non l’avevo mai sentita. Mi sembra clackable. D’Azeglio usa invece il termine “fare gli italiani” nel senso ottocentesco di cittadini di uno stato nazione, e non solo come gruppo di individui che parla la stessa lingua e si riconosce nelle medesime tradizioni. Quello che dici quindi è vero, ma per fare il “popolo-nazionale” serviva una nazione.

    3. purtroppo sull’unità possiamo fare tante congetture, ma se non andiamo a vedere quello che pensavano gli italiani dell’epoca non potremmo mai farci un’idea. Se invece troviamo nelle lettere e nei libri il peso dell’oppressione e proviamo a metterci nei loro panni, allora potremo capire i motivi delle loro scelte.

    4. la possibilità di mandare un figlio a scuola non è “desiderio di cultura”. Gli imprenditori milanesi discriminati rispetto agli austriaci non è desiderio di cultura. Perchè chi ha fame vuole il pane, ma chi ha il pane, vuole anche le rose.

    5. nel mio post ho una visione su come trattare il nodulo http://www.robertopolli.it/?p=332 Credo che la Lega continui ad illudere i suoi elettori con scelte economiche antistoriche. Concordo sulla metafora del nodulo: la soluzione è che il PD spieghi la complessa realtà odierna a quel 10% che crede di risolvere i problemi occupazionali boicottando i prodotti cinesi (e vorrei vedere che succederebbe se la Cina boicottasse i nostri, altro che crisi…)

    6. è vera la schizofrenia degli ultimi tempi: merito della Lega. Se la sinistra comunista è storicamente critica verso il Risorgimento, io credo che – come spiegato nell’articolo originario – esso sia stato una necessaria fase di passaggio, tipo l’adolescenza. I comunisti credevano di poter ignorare le differenze etniche già nell’800, eppure oggi nel 2000 è ancora una bella lotta.

    Sugli errori del passato invece io contesto che i problemi partano con l’unificazione. Semmai è l’unificazione che ha manifestato casini che già esistevano. L’arretratezza del mezzogiorno c’era già: ma c’è voluta l’unità per accorgersene.

    Si può poi negare il bisogno di unità oggi, ma il concetto è iterativo: perchè uno di Bergamo dovrebbe stare nello stesso stato di Milano e non fare la “secessione bergamasca”?

    Ora uno che mi viene a dire che vuole dividere l’Italia mi sta pure bene, ma che non si inventi stati inesistenti e elmetti bicornuti… E si aspetti quanto prima tentativi di annessione da qualche altro stato nazionale :DDD

  7. J on 29 Apr 2011 at 12:15 pm #

    Roberto, a caldo rispondo subito al punto 5 e alla chiosa.
    Metafora: Se il 10% degli utenti di un sito clicca sul bottone sbagliato, è inutile mettere una popup che dice “non cliccare su quel bottone”. Bisogna chiedersi perchè il 10% lo fa e bisogna correggere il problema chiedendosi cosa cercano lì, come posso fargli trovare quello che cercano dove lo stanno cercando.Uscendo di metafora:
    La Lega non ha creato quel 10% tramite bugie e il PD non deve spiegare al 10% la sua verità. La Lega raccoglie quel consenso dicendo le cose che quel 10% vuole sentirsi dire (e poi come tutti ci aggiunge quello che gli fa comodo dopo). Quindi se mi capisci, non devi cercare di spiegare a quel 10% che sta sbagliando, ma devi cercare di capire le esigenze di quella parte di popolazione e studiare un sistema per risolvere il problema. Certo non è facile ma bisogna lavorare in tal senso.
    Nota sul’ironia degli elmetti bicornuti: finchè fai il sillogismo “leghista”=”elmetto bicornuto”, stai facendo lo stesso errore di “gay=uno che si veste da donna”. Claclable: chiedi al PD se può andare a spiegare alla comunità GLBT che sbagliano ad essere quello che si sentono di essere e che devono essere qualcosa d’altro e vedi cosa succede 😀

    Nota: quote latte, produzione, cinesi e stranieri possiamo fare ordine in un altro post ? Ci tengo a precisare però che il nord-est è quello che ha la maggior e miglior integrazione razziale nei dintorni, posti di lavoro e interessi negli stranieri quindi non è razzista contro nessuno, men che meno la cina.E’ solo incazzato contro una politica che bada al solo prendere tasse e non al fare una politica commerciale di competizione concorrenziale.

  8. Roberto Polli on 07 May 2011 at 12:14 am #

    Ciao J, e scusa il ritardo!

    Le risposte della Lega: mi ricorda quei Sales accondiscendenti, i cui progetti non vanno mai in delivery.

    Io credo che non ci sia “la verità del PD” e la “verità della Lega”. Di fronte ai problemi economici servono delle strategie di sviluppo, non dei comizi.

    Le esigenze dei cittadini del nord sono le stesse dei cittadini del sud: benessere, sicurezza personale e sociale, libertà ed emancipazione.

    Come soddisfare i requisiti? Favorendo il lavoro alle rendite. Mettendo le imprese in grado di competere alla pari. Combattendo la corruzione con una giustizia efficiente. Eliminando gli sprechi.

    Io penso che bisogna dare risposte a quel 10%, risposte funzionali alla crescita, non ad un consenso effimero. Cito ad esempio il decreto Bersani sulla RCAuto, che ha portato 200€ all’anno in tasca ad ogni famiglia a costo 0 per lo stato.

    Su Cina & quote latte, hai già letto il post che ti incollai? Perchè mi piacerebbe un tuo parere sulla cosa.

    Pace,
    R.

  9. Gustavo Gesualdo on 04 Jun 2011 at 4:47 pm #

    Democrazia, Fascismo, Federalismo e Secessionismo

    Incredibile quante analogie si possono rilevare fra il periodo ante-fascismo ed i nostri giorni.

    Dal più semplice cronico ritardo dei treni al disagio economico e sociale, dal ingovernabilità ed instabilità politica alla mancanza di giustizia.

    Cerchiamo di analizzare e comparare questi temi.

    I treni oggi viaggiano sempre in ritardo ed accusano avarie anche quando sono nuovi di pacca.

    Chi è costretto ad usarli per viaggiare, lo sa bene.

    La differenza con il periodo pre-fascista è che siamo nei tempi moderni dei treni superveloci, quelli che in Italia si chiamano ad alta velocità.

    Beh, proprio alta non direi.

    La nostra alta velocità ferroviaria, nata per ultima in Europa, è nata già vecchia e di gran lunga meno veloce dei fantasmagorici 300/400 kmh di cui possono godere i francesi, che viaggiano in alta velocità sin dal lontano 1983.

    Noi siamo appena nell’ordine di una velocità media di 180/200 kmh e potete rendervene conto quando l’autostrada corre parallela alla TAV:

    i treni impiegano un bel po di tempo a scomparire dalla vista di un guidatore che procede alla velocità di 130 kmh.

    E per di più, il costo per chilometro di questa nuova linea ferroviaria ad alta velocità è in assoluto e di gran lunga il più alto di tutti:

    in Spagna un costo medio di 15 milioni di euro per chilometro, in Francia un po meno, 13 milioni.

    In Italia?

    Il dato che ho rilevato è parziale e risale al 2008:

    44 milioni di euro per chilometro il costo della tav-nata-lenta italiana.

    In alcuni tratti, pare che il costo medio per chilometro italiano abbia addirittura superato di decine di volte il costo medio europeo.

    Misteri della casta politica e burocratica italiana in tema di appalti pubblici.

    Fatto sta che la TAV italiana è nata sinistra, poichè collega Torino e Milano con la direttrice tirrenica sino a Napoli e Salerno.

    Cosa avranno fatto di male le regioni adriatiche e geograficamente destre per patire un simile danno, questo non è dato saperlo.

    Cosa avrà da meritare la città di Napoli piuttosto della città di Pescara o di Bari, questo poi è un dato illegibile nel governo della cosa pubblica italiana.

    Se poi pensiamo a quanto è costata l’eterna incompiuta Salerno-Reggio Calabria, comprendiamo forse un po meglio perchè è preferibile investire in appalti pubblici in regioni come la Campania e la Calabria, piuttosto che l’Abruzzo o la Puglia.

    E per fortuna che è scampato il pericolo calabro-siciliano del ponte sullo stretto di Messina!

    Beh, sappiamo tutti il potere di attrazione che hanno le organizzazioni mafiose sugli appalti pubblici, specie su quelli più grandi serviti sotto il loro naso.

    E veniamo al secondo punto di analisi storica comparata del periodo prefascista con i nostri giorni:

    il grado di aggressione della mafia e della criminalità sulla sicurezza dei cittadini.

    Il Fascismo mise a posto entrambe le cose, sbaragliando per la prima volta la mafia costretta così ad emigrare nelle americhe e rendendo sicure le città italiane, tanto da consetire di lasciare liberamente l’uscio delle case aperto ed inviolato.

    Mio padre mi ha raccontato come nacque il Fascismo a Foggia, e questo resoconto può essere di grande chiarimento alla nostra analisi.

    La criminalità cresceva ogni giorno di più e la giustizia non si dimostrava in grado di perseguire e punire il crimine ed i criminali, che circolavano liberi ed indisturbati.

    Un bel giorno, un gruppo di cittadini, decise di porre fine a questa eterna ingiustizia ed insicurezza sociale ed organizzarono una giustizia privata molto efficace.

    Prelevati nottetempo i delinquenti nelle loro case, li portavano in casolari siti in aperta campagna, dove somministravano loro un giudizio sommario, condito da grandi bevute di olio di ricino e portentose manganellate.

    Sentenziata la colpevolezza degli “imputati”, essi venivano trasportati presso le Isole Tremiti e lì, giustiziati con un gran salto nel buio nel mare notturno, salto che avveniva dalla sommità di quelle isole.

    Morte certa, punizione garantita, sentenza soddisfatta, giustizia compiuta.

    In qualche modo, in quel modo.

    Quei cittadini, erano i fascisti.

    Osservando nel mondo dei nostri giorni la lentezza e l’inefficacia della giustizia, l’incertezza della pena e la debolezza della legge e l’arroganza con cui delinquenti incalliti vengono scarcerati per decorrenza dei termini, errori nelle modalità di arresto e di giudizio, amnistie ed altre cosette simili, il paragone con l’epoca pre-fascista pare calzare benissimo.

    Detto per inciso, mio padre non è affatto un fascista, ma ha tenuto a raccontarmi questi episodi vissuti nella sua adolescenza proprio perchè riteneva di mettermi al corrente del pericolo insito nella ingiustizia odierna, facile preda di una sete di giustizia che è da ritenere tutt’altro che silente.

    Veniva da una famiglia di fascisti però, come mio nonno, o come lo zio di mia nonna, salito all’onore del servizio di segretario personale del Duce.

    Ma questo ultimo inciso non ha rilevanza ai fini della nostra analisi.

    Ha un enorme valore invece, la ricorrenza del contrasto opposto alle mafie dall’attuale ministro dell’Interno Roberto Maroni, convinto persecutore di ogni mafia e dei suoi boss latitanti:

    sotto il governo del ministro Maroni infatti, quasi tutti i più pericolosi boss mafiosi latitanti sono stati assicurati alla pena detentiva comminata dalla magistratura.

    Un risultato eccezionale che propone una suggestione notevole nella nostra comparazione temporale, in specie se, comparando i due più grandi contrastatori delle mafie dall’unità italiana ad oggi, notiamo un significativo sinonimo dei termini Fasciare e Legare e di una mera differenza di colorazione delle camicie:

    da nere a verdi.

    Ma questa è e deve restare una mera suggestione, vista la notevole differenza di ambiti in cui si sono mossi i nostri due protagonisti:

    Mussolini potè dare carta bianca al Prefetto Mori in virtù del potere assoluto di una dittatura, quale era quella fascista, mentre il nostro contemporaneo Maroni ha ottenuto i notevoli risultati raggiunti in tema di contrasto alle mafie governando in una democrazia.

    E questa differenza avvalora ancor di più l’azione del Maroni, maggiormente “contenuto” dalla osservanza della legge democratica e niente affatto sorretto da un potere assoluto.

    L’opera anti-mafia del nostro Maroni resterà sicuramente nei testi di storia di questo paese, poichè raggiunta e governata con notevoli e maggiori difficoltà rispetto al suo precedente storico.

    Passiamo ora dalla comparazione analitica alla proiezione futuribile:

    se il federalismo, come dice sempre il ministro Maroni, è incompatibile con le organizzazioni mafiose, basterà solo questo elemento riformatore a salvare il paese da un ritorno al passato?

    Mi spiego meglio.

    Premesso che le precondizioni del periodo fascista appaiono sovrapponibili a quelle odierne, potrà essere la chiave di volta risolutiva in una democrazia repubblicana l’applicazione del federalismo, ovvero sarà la secessione a dare un aut aut al ripetersi della storia?

    Che sfida incredibile pone questa analisi, quale proiezione suggestiva pone dinanzi ai nostri occhi.

    Ma, teniamo fuori l’emotività dalla sfera razionale ed analizziamo insieme i possibili scenari.

    Scenario Primo:
    Il Federalismo

    L’ascendente del federalismo come nuova massa collante di una unità nazionale vacillante ed assai degradata, piace a molti.

    Sarà perchè risparmia scenari di ritorno ad un passato fascista e dittatoriale, sarà perchè unisce ciò che è diviso, sarà perchè è l’unica ricetta politica in grado di assicurare un futuro all’intero paese e non ad una sola parte di esso.

    Ma tutto questo potrà avvenire a certe condizioni:

    I – la realizzazione ed applicazione concreta e totale del pacchetto sul federalismo fiscale nel paese;

    II – la sempre più probabile ed auspicabile estensione della ricetta federalista dalla fiscalità alla struttura statuale ed alla sua forma di stato e di governo, raggiungendo un federalismo politico che veda ogni regione come uno stato autonomo riunito agli altri sotto un governo federale.

    III – l’emarginazione delle organizzazioni mafiose dal controllo del voto popolare e del conseguente potere pubblico;

    IV – un formidabile contrasto alla devastante corruzione politica e burocratica;

    V – l’adesione totale, convinta e condivisa di tutte le popolazioni italiane alla filosofia federalista;

    VI – l’eliminazione di ogni spreco del danaro pubblico e della inefficienza nella pubblica amministrazione;

    VII – una completa realizzazione delle riforme che urgono per riavvicinare stato di diritto e stato di fatto, oggi più che mai lontani e distanti l’uno dall’altro.

    Di tutti questi, il più importante ed indispensabile risulta essere proprio il punto V.

    Senza una incarnazione convinta della ispirazione federalista da parte delle popolazioni che oggi vivono felicemente al di sopra delle loro possibilità socio-economiche grazie allo sfruttamento incessante delle risorse prodotte in gran parte dei territori del nord del paese, ogni sforzo sarà reso vano, inutile, velleitario.

    Poichè e impensabile l’applicazione del federalismo in un ambito democratico come un dogma che cada dall’alto:

    esso non sarebbe compreso e condiviso, anzi verrebbe visto come un nemico di ogni status quo e per questo, avversato e contrastato.

    Non siamo nella dittatura fascista e nessuno ha carta bianca come vorrebbe.

    Siamo in una democrazia, immatura, incompleta e bloccata, certamente, ma pur sempre una democrazia:

    occorre un rispetto assoluto delle regole, da parte di tutti, compresi quelli che le regole le scrivono.

    E questo, è proprio il limite del federalismo applicato:

    se non trova consenso in tutte le popolazioni ed in tutti i territori, non funzionerà mai.

    Ora, chi lo va a dire alle popolazioni del sud che devono credere ciecamente nel federalismo e contemporanemente fare enormi passi indietro nel proprio stile di vita eccessivo rispetto alle proprie possibilità?

    Chi potrà convincerli che un posto di lavoro insicuro e scomodo in una fabbrica lontano dalla propria città sia meglio di un comodo lavoro pubblico-dipendente praticamente sotto casa?

    E chi potrà convincerli che non esiste un lavoro che non costa sacrificio, rischio e sudore, e chi li convincerà che l’assenteismo, il pensionamento in giovanissima età, le pensioni di invalidità false, le raccomandazioni politiche, il lavoro in nero e le ricchezze prodotte nella illegalità dell’economia sommersa sono un male impossibile da sopportare?

    Tutte queste domande contrastano con la capacità di una democrazia di imporre un comportamento piuttosto che un altro alle popolazioni resistenti al cambiamento.

    Difficile garantire la stabilità democratica in questa proiezione.

    Scenario Secondo:
    Il Secessionismo

    L’ossessione dei fannulloni, la paura folle degli spreconi di danaro altrui, visto che, “l’altrui danaro” con la Secessione, tornerebbe a disposizione diretta di chi lo produce e non di chi lo spreca.

    Ma quali sono le precondizioni che portano al secessionismo e quali scenari di democrazia aprono?

    I – Il fallimento del federalismo è la prima condizione da rispettare per aprire una strada decisa e diretta al secessionismo.

    II – L’impossibilità di ricondurre altrimenti il governo del paese a criteri di razionalità e di reciprocità fra spesa e contribuzione.

    Ecco i due criteri di scelta obbligata per ottenere il secessionismo delle regioni del nord dal resto del paese.

    In questo quadro è difficile prevedere cosa accadrà in caso di secessione di una parte delle popolazioni e dei territori dallo stato italiano, in specie se si guarda alla difficoltà di ottenere una “secessione dolce e civile”, piuttosto di una guerra civile.

    Il tema è delicato, ma val la pena di approfondirlo, almeno negli aspetti di una continuità democratica nel caso secessionista.

    La stabilità democratica in caso di secessione del nord sarebbe garantita?

    Sì, almeno nel nord del paese, che otterrebbe una vittoria civile e democraticamente accettata da tutte le parti, un po come è avvenuto nel passato nella scissione della Cecoslovacchia nelle due repubbliche Ceca e Slovacca, secessione che ha fatto un gran bene all’economia di entrambe i “paesi separati”.

    Per quanto riguarda il sud, restano sul tavolo tutte le domande che abbiamo posto nel caso della applicazione federalista, visto che sarebbe il sud del paese a dover cambiare velocemente passo in tutti e due i casi.

    O il sud accetta il federalismo e lo condivide incarnandolo, ovvero dovrà subire il secessionismo, sia pur non condiviso, ma obbligatoriamente incarnato.

    Il sud si salva in tutti e due casi ed in un regime di stabilità democratica, solo se accetterà la sua sfida vitale:

    camminare sulle proprie gambe, eliminare le mafie, distruggere il mondo della illegalità diffusa.

    E allora, quale suggestione vi piace di più?

    Quale sarà il futuro dell’Italia?

    Una rinnovata democrazia federalista ovvero il ritorno di una buia dittatura?

    Una secessione civile ovvero una guerra civile?

    Ai posteri, l’ardua sentenza.

    Ai contemporanei, la difficile leggerezza dell’essere divisi, in un paese unito.

    Gustavo Gesualdo
    alias
    Il Cittadino X

  10. Roberto Polli on 05 Jun 2011 at 12:11 am #

    @Gustavo: grazie del commento. Dove hai trovato il mio blog?

    Rispondo punto su punto, rilevando alcune inesattezze nel commento, sul quale però concordo fortemente in merito alla necessità di una giustizia uguale per tutti.

    L’errore di fondo è quello novecentesco: se tutti condividessero il modello federalista il federalismo funzionerebbe. È lo stesso presupposto che ha portato alla caduta dell’URSS. Ovviamente se tutti avessero condiviso l’ideale comunista, anche il comunismo avrebbe funzionato, senza dotarsi di stasi e kgb.

    Sul federalismo come alternativa alla guerra civile: credo sia limitativo pensare che la soluzione ai nostri mali possa venire dall’alto di un sistema formale. Penso anche sia inesatto immaginare un nord senza il sud, a causa delle interazioni economiche tra le due parti del paese.

    Il nord ad esempio è molto dipendente dal lavoro di persone di altre regioni anche per motivi demografici, e posso anche dirti che in Italia mancano informatici qualificati che dovremo importare.

    I lproblema che poni invece, ossia il peso dei dipendenti pubblici del sud, va affrontato in tutto il Paese. E non è detto che la soluzione sia il federalismo! Basterebbe come per i Comuni un Patto di Stabilità più severo.

    Credo che rimandare tante scelte da fare subito a un futuro “federalismo” sia una strategia elettorale e mediatica. Un po’ come i comunisti parlavano ancora di rivoluzione negli anni 80.

    Federalismo o centralismo servono scelte serie e politici competenti. Facciamolo pure questo federalismo, ma senza illusioni almeno: che da Mastella al Trota lo stivale è uno.

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